L’Irredentismo: la storia

di Veronica Saggiorato (Biblioteca della Montagna-SAT – Servizio Civile)

Nomi come Cesare Battisti, Damiano Chiesa e Fabio Filzi risuonano non solamente nella città di Trento, intitolando strade, piazze e monumenti, ma anche nella storia della SAT e in quella d’Italia. Molti tutt’oggi associano questi personaggi all’Irredentismo, consapevoli sia di cosa significhi che di cosa abbia comportato per noi italiani questo grande movimento politico-culturale. Non tutti, però, ricordano perché è sorto, le cause che lo hanno scatenato e come è stato vissuto dai soci satini tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo.

Tutto ha inizio con il Congresso di Vienna (1814-1815), necessario per ripristinare i confini dei regni europei e ristabilire sul trono francese il legittimo successore dopo i moti rivoluzionari del 1789 e le successive guerre napoleoniche. Per la penisola italiana significa vedere i propri territori suddivisi in una decina di regni, tra cui quello di Sardegna, governato dai Savoia, e quello Lombardo-Veneto, comprendente i territori della Repubblica di Venezia, del Veneto, del Friuli, della Lombardia orientale e della Valtellina, sotto il controllo dell’Austria.

I risultati della Pace di Vienna, però, non soddisfano l’esigenza dei popoli della penisola di riunirsi sotto un’unica identità, che si fa sempre più predominante, e spingono invece verso le tre Guerre d’indipendenza italiane (1848-49, 1859-60 e 1866), che nel 1861 portano alla proclamazione del Regno d’Italia sotto re Vittorio Emanuele II e al termine della III Guerra d’indipendenza (1966) producono un grande scontento da parte di quelle regioni culturalmente e linguisticamente italiane, ma non inserite nel neo regno.

Tre anni più tardi una nuova alleanza anti-prussiana tra Francia, Italia e Austria riaccende l’entusiasmo nei distretti di Trento e Rovereto, che, in caso di successo, passerebbero dal controllo autriaco al Regno d’Italia. Purtroppo gli eventi del 1870, riguardanti la conquista di Roma (all’epoca appartenente al Papato), con tutte le problematiche che essa ha portato, ma comunque conclusa con successo dal neo regno italiano e proclamata capitale nel febbraio dell’anno successivo, non danno al governo la possibilità di gestire allo stesso tempo le annessioni dei territori del Trentino e del Friuli, lasciati a sé stessi.

Sono queste le premesse che conducono le popolazioni italofone fuori dal controllo sabaudo verso un certo patriottismo, la difesa culturale e un fronte autonomistico, concretizzati nell’Irredentismo più o meno spinto. Questo movimento chiede l’annessione al Regno d’Italia delle terre considerate italiane ed escluse dall’unificazione del 1870 e, proprio per quest’ultimo punto in particolare, si presenta anche come una forma protestataria contro il governo. 

Alimentato da una vivace propaganda e da Associazioni sorte a questo scopo, viene successivamente fatto proprio dal movimento interventista sorto alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. È sul terreno di guerra che gli irredentisti trentini marciano a testa alta, mettendo a rischio sé stessi e le proprie famiglie per un ideale che va oltre la mera ideologia. Già in un precedente articolo di questa stessa rubrica, La fotografia di montagna, si è raccontato del coraggio di alcuni uomini che negli anni precedenti e durante la Grande Guerra hanno collaborato al gruppo di spionaggio che aveva come fine ultimo identificare e fotografare le basi e i presidi austriaci per poi informare il governo italiano. Azioni, queste, svolte da giovani satini come G. Colpi o E. Unterveger, arrestati per atti contro la patria, l’Austria, in favore del nemico, l’Italia.

Ma le vicissitudini irredentiste che contraddistinguono il sodalizio, in parte promotore del movimento, non vengono svolte da soli grandi eroi con azioni piene di arditezza.

Sin dalla nascita della Società Alpina del Trentino si verificano eventi di contrasto tra pangermanisti e irredentisti, mascherati da continue competizioni tra la Società Alpina del Trentino e il DÖAV. La forte spinta “edile” di alta montagna che avviene proprio in quegli anni deriva proprio dalla continua gara, più o meno marcata, tra le sezioni dei due fronti per accaparrarsi il terreno migliore per realizzare un rifugio o aprire un nuovo itinerario, spesso addirittura uno di fianco all’altro. Un esempio risale al 1893-94, quando il DÖAV battezza la nota Cima Brenta col nome di Kaiser Franz Josef Spitze nel tentativo di snaturalizzare la toponomastica italiana già presente. O ancora si compete su chi è in grado di fornire maggiori contributi per lo sviluppo turistico, smuovendo così l’opinione ideologica degli albergatori che, nel caso specifico delle donazioni della SAT, si devono più al sostegno verso il gruppo locale che non all’importo da questo promesso, sempre inferiore rispetto a quanto possa permettersi invece il DÖAV. Esemplare, poi, è la vicenda della costruzione dei rifugi Sella e Tuckett, entrambi nei pressi della vedretta di Tuckett ed entrambi realizzati negli stessi anni, all’inizio del Novecento, che non solo evidenzia la sfacciataggine che questo confronto ha assunto, ma esalta anche i sostenitori delle due parti. Nel caso specifico, il CAI stesso dona una targa da affiggere sulla facciata del rif. “Q. Sella” su cui è scritto di faccia alla provocazione straniera, fatta cancellare di lì a poco dalle autorità. Ed altrettanto importante è il tentativo delle sezioni austriache di far passare a proprio favore guide e portatori promettendo salari più consistenti e facendo firmare una dichiarazione di rifiuto del distintivo satino, ovviamente non andato a buon fine.

Infine, poiché nelle vicende storiche non vi è mai un’unica verità, la Prima Guerra Mondiale ha spinto giovani e non trentini a prendere una decisione molto importante.

Come regione appartenente all’autorità austriaca, il Trentino ha l’obbligo di arruolarsi all’interno dell’esercito dell’Impero austro-ungarico. Più di 800 trentini scelgono comunque di trovare riparo nel Regno d’Italia e arruolarsi nell’esercito italiano per combattere per la propria terra. Per lo stesso principio, circa 60 mila trentini combattono dall’altra parte del fronte. Uomini cresciuti nella stessa regione, parlanti la stessa lingua, abituati alle stesse usanze e tradizioni si ritrovano schierati gli uni di fronte agli altri in un conflitto “tra vicini” che ha probabilmente spinto a sparare contro uomini “con cui, in tempo di pace, si era arrampicato insieme”.

Sono stati chiamati eroi e disertori dall’una e dall’altra parte, ma, tirando le somme, non erano altro che uomini che cercavano di fare qualcosa, portare un cambiamento, seguire un ideale o cercare di non essere arrestati per renitenza alla leva. E tutti hanno dato la vita per noi.

FOTO © 1884 – “Rimozione della targa austriaca in Cima Brenta“, Archivio fotografico SAT