Sui sentieri dei 150 anni

Sentiero 12 – La Val Duron fra il Catinaccio ed il Sassopiatto

A passeggio col Salvan nella terra dei Ladini

La prima parte dell’itinerario percorre interamente la Val Duron che, con il suo bucolico e alpestre solco, divide le Dolomiti del Catinaccio dal vicino Gruppo del Sassolungo. Si passa poi su uno dei classici sentieri delle Dolomiti che percorre in quota la lunga e panoramica dorsale erbosa che unisce l’Alpe di Siusi alla Val Duron collegando il Gruppo del Sassolungo al Gruppo del Catinaccio. Si conclude con il breve tracciato di collegamento tra il Rifugio Sassopiatto e il sottostante Rifugio “Micheluzzi” in Val Duron.

Gruppo Montuoso: Sassolungo, Catinaccio

Comuni: Campitello di Fassa – Ciampedel

Difficoltà Generale: E

Sentieri SAT: E532, E594, E533

Itinerario: Dal Rifugio Micheluzzi al Passo del Duron e al Rifugio Alpe di Tires, poi al Rifugio Sassopiatto e rientro al Rifugio Micheluzzi

Dislivello salita / discesa: ↑719 m / ↓719 m

Nome Località N. segnavia Quota (m.s.l.m.) Distanza (metri) Andata (hh:mm) Ritorno (hh:mm) Diff.
Rifugio Micheluzzi 1846 00:05
Pontons [532] 1863 120 00:05 00:10 E
Baita Lino Brach [532] 1867 940 00:10 00:15 E
Zopei – Tiejes del Mucia [532] 1893 850 00:15 00:35 E
Frighela – Palazina [532] 1960 1910 00:35 00:10 E
Malga do Col d’Aura [532] 2048 730 00:15 00:20 E
Pas de Duron – Sella Cresta Nera [532] 2181 1140 00:30 00:40 E
Rifugio Alpe di Tires [594] 2442 1950 00:50 00:50 E
Pas de Duron – Sella Cresta Nera [594] 2181 1950 00:40 00:45 E
Sforcela Palacia [594] 2213 2210 00:45 00:40 E
Rifugio Sassopiatto [594] 2304 2330 00:45 00:15 E
Malga Sassopiatto – o del Luch [533] 2250 590 00:10 00:45 E
Ruf de Pegna [533] 2054 1260 00:30 00:45 E
Pontons [533] 1863 1150 00:35 E
Rifugio Micheluzzi [532] 2042 120 00:05 00:05 E
Totali 17 250 06:10 06:15

Il rifugio “Micheluzzi” si raggiunge su strada asfaltata, e poi sterrata, che sale da Campitello di Fassa lungo un percorso di circa 3 chilometri di lunghezza e che, con 400 m di dislivello, supera la prima parte della Val Duron, quella più incassata; l’accesso può essere affrontato a piedi, in circa 1,5 – 2 ore, oppure utilizzando un bus-navetta, sempre da Campitello. Giunti al rifugio, si segue la stradina sterrata che si inoltra piacevolmente fra i prati piani della suggestiva valle cosparsa di baite e fienili. In località Zopei-Tiejes del Mucia si lascia sulla sinistra il sentiero 578 che sale al Pas da le Ciaregole in direzione del Rifugio Antermoia. Si continua nel largo solco vallivo, avvicinandosi all’anfiteatro che chiude a monte la valle, alla base delle pareti del Molignon incontrando, in località Frighela-Palazina, il bivio con il sentiero 555 che, verso sinistra, porta anch’esso al Pas da le Ciaregole. Ora il tracciato della stradina comincia ad alzarsi lungo il versante sinistro orografico, raggiunge prima la bella Malga Do Col d’Aura e poi, lungo gli alti e ondulati pascoli, il Pas de Duron, dove la vista si allarga sulla vastissima Alpe di Siusi. Al passo si incrocia il sentiero 594 che, dal Rifugio Sassopiatto, percorre l’intera panoramica dorsale collegandosi al Rifugio Alpe di Tires. Oltre la sella, il tracciato si immette sulla stradina proveniente dall’Alpe di Siusi che conduce al Passo Alpe di Tires/Pas de Dier, dove sorge il Rifugio Alpe di Tires/Tierseralpl Hütte. Da qui, una volta tornati al Passo del Duron (o sella di Cresta Nera), si prosegue in direzione del Rifugio Sassopiatto/Plattkoffel Hütte, attraverso una successione di leggere ondulazioni, godendo di un magnifico panorama su ambedue i versanti. Con comodo percorso si passa per la Cresta di Siusi, la Palacia e gli Orli di Fassa, mantenendosi poi costantemente fra i pascoli a ridosso dell’arrotondato crinale. Dal Rifugio Sassopiatto, con una vista eccezionalmente ampia sia sul versante dell’Alpe di Siusi, sia sul Catinaccio e sui monti di Fassa, si cala in breve alla vicina malga per la stradina di servizio. Da Malga Sassopiatto (o del Luch) si prosegue verso valle, tenendosi in sinistra orografica, nella suggestiva valletta erbosa, per poi attraversare il Ruf de Pegna e abbassarsi brevemente sul crinale. Dal marcato costone che delimita la valletta del Ruf de Pegna si imbocca il tracciato che si abbassa fra i prati e giunge in vista della Malga Duron; da qui si segue la stradina che scende verso Sud in direzione della loc. Pontons, nei pressi del Rifugio “Micheluzzi”.

Fino al 1874 (apertura della strada di San Lugano) la principale via di penetrazione in Val di Fassa era attraverso il passo del Duron. Di seguito la descrizione di un tratto del viaggio compiuto da George Cheetam Churchill (Nottingham 1822 – Clifton 1906) nel 1860, da Bolzano-Bagni di Ratzes-Alpe di Siusi-Val Duron e Val di Fassa: «… ingaggiai una guida ed un cavallo per recarmi a Campitello, nell’alta Val Fassa… A dispetto delle mutevoli nubi che giocavano attorno alle cime senza nasconderle, potei di nuovo godere l’insolito aspetto di quelle montagne isolate, che sorgono dalle verdi onde della Seisser Alp [Alpe di Siusi]. Non c’era nulla che interferisse con quegli alti, svettanti profili, finché, affrontando il verde crinale che corre tra l’ampio, bianco dorso del Platt Kogel [Sassopiatto], a sinistra, e i dentati, cadenti obelischi delle Ross Zähne [Denti di Terrarossa] a destra, giunsi in prossimità di enormi masse di roccia compatta, di colore oliva-nero, che emergevano qua e là sui fianchi della gola e davano l’idea di resti fossilizzati di poderi mammouth. I geologi vi diranno prosaicamente che si tratta solo di venature di augite porfirica che, su questo crinale, sbucano attraverso le rocce vulcaniche di cui sono composti gli strati più elevati della Seisser Alp. Eppure c’è qualcosa di poetico anche in questo se pensiamo alle forze vitali che giacciono dormienti sotto la superficie… Dalla base del pendio la Duron Thal [Val Duron] si apriva con un tratto quasi pianeggiante nel quale divagava lentamente un corso d’acqua, fiancheggiato da prati acquitrinosi. Il Falban Kogel scomparve dietro i verdi pendii e il suo posto fu preso da alture di oscura roccia lavica che costituiscono una sorta di muraglia fiancheggiante la valle a meridione, fino al suo sbocco a Campitello» (Josiah Gilbert, George C. Churchill – “Le montagne dolomitiche”, 2002, pp. 71).

Siamo nel cuore delle Dolomiti occidentali, immersi nell’isola ladina, sotto la lente di linguisti, antropologi e geografi e, in passato, anche oggetto di contesa nazionalistica; riportiamo qui un pezzo di un lungo reportage tra i ladini, un viaggio compiuto nel 1913 da due illustri soci della SAT.

«Non si trattava di scoprire la Ladinia: affermarlo sarebbe stata una corbelleria. Al dì d’oggi non c’è più nulla – o quasi – da scoprire. Ma c’è – oggi come ieri – dei problemi di vita attuale che non sono conosciuti fuor degli opulenti cenacoli degli eruditi; c’è – nel caso nostro – un brandello di popolo che sta morendo nella sua individualità etnica e linguistica, ed è della nostra stirpe e lo ignoriamo. Per questo importava parlare dei Ladini più forte e più chiaro, anche tra noi. Per questo da qualche mese, anche tra noi, s’è rizzato “il problema dei Ladini”… Risoluta ormai in nostro favore la controversia – di frequente artificiosa per le bizze di falsi glottologi tedeschi – sulla natura dei parlari ladini, è per noi di somma utilità l’esaminare realisticamente la portata dell’odierno risveglio contro il germanesimo assorbitore, che le leghe nazionali ladine van producendo sì in Isvizzera che tra le Dolomiti…» (Vittorio Fabbro, Aldo Zippel – “Attraverso le Dolomiti ladine”, IN: Bollettino SAT, A. 11, n. 1, 1914, pp. 1-18).

Da tempo immemore qui i panorami si mescolano con le leggende. Spesso il protagonista è il Salvàn (o Salvanèl, derivato dal latino Silvanus o da Faunus saltuanus) – uomo selvatico – personaggio principale di molte leggende, che abita in caverne (luogo che simbolicamente rappresenta l’opposto del villaggio) e può essere considerato l’anello di giunzione tra natura e civiltà, tra selvaggio e civile. Solitamente è considerato un maestro dell’arte casearia e delle tecniche minerarie e comunica volentieri i segreti ai montanari, ma mai completamente, poiché spesso subentrano degli imprevisti che lo fanno fuggire. È presente in tutto l’arco alpino, sull’Appennino tosco-emiliano, ma in generale anche su tutte le grandi catene montuose aleggia la sua presenza: in Himalaya è noto come Yeti, sulle Montagne Rocciose canadesi si chiama Sasquatch, mentre in quelle statunitensi Bigfoot ecc. Nella mitologia basca lo Zezengorri (o Behigorri) è considerato il protettore delle grotte. Evocare l’Uomo selvatico avrebbe un effetto calmante sui bambini piagnucolosi. Nelle valli ladine i Salvàns (o Vivàn), dotati di forza straordinaria, e le loro compagne, le Gànnes (o Vivène), vivono nelle grotte, ma d’inverno non mancano di visitare i villaggi e intrattenersi con le persone (soprattutto le Gànnes), anche se parlano poco e apprendono con grande fatica il ladino. Entrambi temono il tuono e allevano le pecore. Generalmente sono di natura mansueta e si vendicano in modo orribile solo se provocati.

«Costa de Norèies è il nome di una catena montuosa della Val di Fassa. Il nome è dovuto al fatto che la montagna è completamente coperta di norèies, cioè di rododendri e che in cima, dentro la caverna, vi abita un salvàn. Di questa montagna si racconta la leggenda che segue. Tutti i salvàn scoppiano di gioia alla vista dei fazzoletti colorati. Se si promette loro un fazzoletto di questo tipo sono persino disposti a lavorare per guadagnarselo. Così fece anche il salvàn che abita sulla Costa de Norèies. Per tutta l’estate aiutò i contadini a falciare un grande prato e ricevette in compenso un fazzoletto rosso. Era così contento che dalla gioia cominciò a saltare per massi e staccionate. Alla gente che lo guardava faceva un cenno pieno di sottintesi, come per dire loro che non sapevano quanto fosse prezioso per lui quel fazzoletto. Si diresse, lasciando il prato, verso il ciglio del bosco dove una pastorella, che spesso egli aveva osservato da lontano, pascolava le sue pecore. Distese il fazzoletto sull’erba ai suoi piedi e disse: “Vedi questo fazzoletto? Me lo sono guadagnato col lavoro e te lo porto in dono chiedendoti se vuoi diventare la mia sposa”. La pastorella lo guardò dapprima molto stupita, poi gli voltò le spalle senza degnarlo di una risposta. Il salvàn si arrabbiò tanto che calpestò il fazzoletto e disse, pieno di collera: “Su questo pascolo non deve più crescere nemmeno un filo d’erba, e su, fino in cima, deve diventare tutto rosso come questo fazzoletto”. Non aveva nemmeno finito di pronunciare queste parole, che già stava salendo verso la cima, dove ancora oggi abita. Da quel giorno sulla montagna iniziò a crescere un’enorme quantità di rododendri. Alberi, cespugli ed erba dovettero far posto ai fiori, tanto che ora la montagna è un unico mare di rododendri. Il salvàn abita, però, ancora sulla cima, chiamata appunto Piz del Salvàn, e quando vede salire qualcuno gli fa rotolare contro blocchi di pietra e ogni sorta di sassi. Solo quando a voler salire sono due giovani, che si amano di cuore, allora il salvàn nasconde il viso nel fazzoletto rosso e si ritira nella sua caverna» (Ulrike Kindl – “Le Dolomiti nella leggenda”, 1993).

Le Dolomiti Orientali sono caratterizzate da una flora ricca, ma il cui aspetto più caratteristico è l’elevatissima variabilità ecologica presente in brevi spazi. Questo è una conseguenza della grande disomogeneità sia nel substrato geologico, sia nel clima, che passa da zone in cui è più di tipo oceanico, come sulle Pale di San Martino, a zone in cui è classificabile come continentale, come sulle Dolomiti Fassane. Questi due fattori contribuiscono alla permanenza di specie anche abbastanza diverse tra loro e con un’estensione disomogenea da un posto ad un altro. Oltre al clima ed al substrato roccioso, anche la morfologia, talvolta molto impervia, e le quote mediamente elevate hanno contribuito nel tempo a mantenere la biodiversità floristica che spesso comprende piante rare in pericolo di estinzione ed anche specie endemiche. Nelle Dolomiti Trentine Orientali, infatti, sono presenti in più stazioni varie specie altrimenti assenti nel resto del Trentino e che conferiscono a quest’area una propria specifica identità floristica e paesaggistica. Molto caratteristiche e presenti lungo l’itinerario proposto sono le specie Saxifraga facchini e Campanula morettiana. La prima è una pianta perenne di piccole dimensioni con fioritura in luglio-agosto, di estremo interesse perché endemica delle Dolomiti Orientali ed, in particolare, delle sommità dei gruppi calcareo-dolomitici compresi tra il Latemar, il Gruppo di Sella e le Pale di San Martino. Scoperta nel 1840 dal botanico fassano Francesco Facchini, da cui prese poi il nome, questa specie è senza dubbio, nonostante la sua scarsa appariscenza, il fiore simbolo dei “monti pallidi”. Cresce infatti esclusivamente su detriti e roccette calcareo-dolomitici nella fascia alpino-nivale, ovvero al di sopra dei 2.000 metri; il suo ambiente tipico è quindi costituito dagli altopiani glacio-carsici, distese quasi sterili di bianchissima roccia. La seconda specie considerata, Campanula morettiana, è anch’essa una specie endemica della zona compresa fra le Dolomiti Fassane, le vette Feltrine e la valle del Piave. È una pianta perenne che cresce attorno ai 1.800 metri di quota ed è considerata a moderato rischio di estinzione. Scoperta nel 1825 dal botanico pavese Giuseppe Moretti, il suo ambiente prediletto sono i ghiaioni e le giallastre rupi calcareo-dolomitiche spioventi entro le cui fessure si insedia con il suo ridotto cuscinetto di foglie su cui, in agosto, spicca uno stupendo fiore, sproporzionato rispetto alle piccole foglie, di circa 3 centimetri. Data la sua condizione e le sue caratteristiche che la rendono molto vistosa, la Campanula morettiana è protetta a livello nazionale per cui, come per Saxifraga facchini che è protetta regionalmente, la raccolta o il danneggiamento sono severamente vietati.

Dal punto di vista della geologia, l’escursione proposta ci permette di studiare da vicino alcune delle caratteristiche formazioni rocciose risalenti a varie fasi del periodo Triassico ed il loro interessante rapporto con le attuali morfologie sviluppatesi sui versanti di una incantevole valletta dolomitica, quale la Val Duron.

Partendo dal paese di Campitello, sul fondo della Val di Fassa, ampia vallata alpina dalle chiare forme glaciali, si risale verso nord-ovest lungo la stretta e ripida incisione del Ruf de Duron, il torrente che scende dall’omonima valletta. Essendo questo il raccordo più recente di una valle laterale sospesa (con fondo a quota più elevata rispetto alla vallata principale, tipico della morfologia glaciale a grande scala), una volta terminata l’ultima glaciazione il torrente così sviluppato ha potuto erodere in poche migliaia di anni la soglia ed affondare il suo letto nelle sfaldabili stratificazioni della Formazione di Werfen, l’appariscente formazione rocciosa, fittamente stratificata e ricca di impronte di organismi marini. Salendo verso il soprastante Rifugio Micheluzzi la pendenza si fa via via meno accentuata e, infine, si giunge nel settore centrale della valle. Sullo sfondo, alla nostra sinistra si innalzano le chiare vette dei margini settentrionali del Catinaccio, costituite da solida dolomia, nella quale le caratteristiche cenge oblique ci informano che si tratta di antichi atolli, cresciuti intorno ai 235-236 milioni di anni fa in un mare tropicale. Siamo al cospetto della scarpata settentrionale della scogliera che poi darà vita al Gruppo del Catinaccio. Alla nostra destra invece si innalzano morbide pareti di rocce scure, friabili, facilmente erodibili e che spesso hanno assunto caratteristiche forme allungate e tondeggianti, tanto che, grazie a ciò e all’inconfondibile sagoma, sono state nominate “I Frati”. Si tratta di depositi di ialoclastiti risalenti all’intensa fase di attività vulcanica che ha contraddistinto la regione dolomitica nel Triassico medio, e costituiti da particolari materiali vulcanici accumulatisi in zona e derivati, a suo tempo, dalla disgregazione delle pillow lava, lave a cuscini (basalti scuri), ovvero ammassi rotondeggianti di lave eruttate in ambiente subacqueo.

Superato il Pas de Duron si possono ammirare più da vicino i Denti di Terrarossa (Rosszӓhne), situati ora in Provincia di Bolzano, costituiti da dolomie carniche di scarpata dai caldi colori (di qui il nome) e che devono la loro inconfondibile forma grazie all’erosione e scomparsa di buona parte delle rocce vulcaniche. 

Il nostro percorso si dirige ora in direzione della lunga e panoramica cresta che, con morbide ondulazioni, conduce fino al Rif. Sassopiatto. Siamo a cavallo del confine tra le due province autonome. Le formazioni rocciose sulle quali si snoda il sentiero sono sempre quelle triassiche, scure e vulcaniche, che, grazie al loro forte spessore di anche 300 m, prodottosi in pochissimo tempo circa 230 milioni di anni fa ed in successive riprese, hanno potuto coprire e così preservare praticamente intatti gli spettacolari antichi atolli che oggi, a causa dell’asportazione delle prime, sono visibili così come si erano formati sotto i mari del Triassico. Possiamo infatti ammirare la spettacolare pala sudovest del Sassopiatto, una straordinaria scarpata sottomarina fossile di dolomia carnica, alta oltre 600 m, che ci ricorda che un tempo, lassù, oltre la cima che oggi si attesta a poco meno di 3.000 m di quota, si trovava la superficie di un antico mare tropicale.

Scendendo dal Rifugio Sassopiatto all’omonima malga si possono, quindi, riconoscere enormi blocchi di frana staccatisi recentemente dalle soprastanti dolomie del Sassopiatto, ma anche tracce delle antichissime frane che a suo tempo si staccavano dalle scogliere, rovinando lungo i pendii sottomarini della scarpata dell’atollo. Continuando a scendere, incontriamo nuovamente le scure rocce vulcaniche, stratificate o meno, più friabili, ed il paesaggio muta nuovamente aspetto: si allargano più morbidi pascoli a valle della malga ed in breve, poco dopo essere usciti dal solco del Ruf de Pegna, poco più a monte della Melga de Duron, si ha la fortuna di attraversare un affioramento di spettacolari pillow lavas ancora ben conservate e dalle inconfondibili forme rotondeggianti.

Rifugio Micheluzzi

località quota proprietà recapiti posti letto locale invernale
Val Duron m 1847 privata

0462 750050

www.rifugiomicheluzzi.it

20 No

Apertura: stagione estiva

Rifugio Alpe di Tires / Tierser – Alpl Hütte

località quota proprietà recapiti posti letto locale invernale
Denti di Terrarossa / Rosszahn m 2240 privata

0471 727958

info@tierseralpl.com

www.tierseralpl.com

56

Apertura: stagione estiva

Rifugio Sassopiatto / Plattkofel Hütte

località quota proprietà recapiti posti letto locale invernale
Giogo di Fassa / Fassjoch m 2301 privata

0462 750342

334 9569626

www.plattkofel.com

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Apertura: stagione estiva