La vita di un artista: Cesare Covi e il Liberty trentino

di Veronica Saggiorato (Biblioteca della Montagna-SAT – Servizio Civile)

Tra il 18 marzo e il 16 aprile di quest’anno a Palazzo Trentini è stata ospitata la mostra Trento 1900 – Artisti trentini ai tempi della Belle Époque: Cesare Covi, dedicata, come già esprime il titolo, al poco noto artista trentino che ha vissuto l’apice della sua carriera negli anni immediatamente precedenti alla Prima Guerra Mondiale. La mostra ha l’intento di far riscoprire e rimettere in luce l’operato di questo corregionale dimenticato, mentre qui si vorrebbe raccontare la sua storia, legata indissolubilmente a quella del sodalizio da un sottile filo, quasi invisibile. 

Nel 1872, lo stesso anno in cui viene fondata la Società degli Alpinisti Tridentini, nasce a Trento il decimo degli undici figli di Giuseppe Covi e Angela Molinari, i sarti più rinomati del centro città. Dell’infanzia di Cesare, così viene chiamato il bambino, non sappiamo molto, se non che sin da tenera età si nota il talento per il disegno. 

A 17 anni, da poco orfano dei genitori, intraprende la formazione artistica all’Accademia di Brera, durante la quale, malgrado la vincita di una borsa di studio e una menzione nella realizzazione di elementi di figura al primo anno e una medaglia di bronzo per le decorazioni e gli ornamenti al secondo anno, le sue opere constano di caratteri prettamente accademici, privi di un particolare stile od espressività. La permanenza a Milano gli avvale in ogni caso l’opportunità, ben sfruttata, di conoscere e intrattenere rapporti, a volte anche di stretta amicizia, con alcuni pittori contemporanei. Gli studi compiuti a Brera, specialmente quelli sui busti di sculture antiche, sono propedeutici all’esame di ammissione all’Accademia di Vienna, che prevede la riproduzione di un modello di testa. Malgrado le capacità del giovane, la commissione non riconosce il suo talento e Cesare sceglie così di iscriversi all’Accademia delle Arti di Firenze, dimostrando particolare sensibilità per l’arte italiana. Nello stesso periodo concorre alla borsa di studio della Provincia del Tirolo, comparendo nell’esposizione al Ferdinandeum di Innsbruck. Nel 1894 si sposta a Roma per frequentare la Scuola libera con modello vivente annessa al Regio Istituto di Belle Arti, permanenza durante la quale sviluppa un certo interesse per le rovine archeologiche. L’anno successivo concorre nuovamente per la borsa di studio tirolese, stavolta vincendola, e nel 1897 espone sia alla XXV Esposizione Annuale della Künstlerhaus a Vienna, unico trentino tra i pochi artisti italiani, sia alla Triennale di Brera a Milano.

Dal 1898, terminato il periodo di formazione, torna a Trento per intraprendere la professione di decoratore e pittore. Nello stesso anno partecipa all’esposizione nazionale di Torino e negli anni a seguire la rivista “Strenna del Trentino-Alto Adige” pubblica alcuni suoi lavori. È questo il periodo, prima del nuovo secolo, che vede l’avvicinamento del pittore a personalità ben note del mondo satino, dedite alla diffusione della cultura e di un ideale filoitaliano decisamente presente nella regione.

I fratelli Garbari, Giovanni Pedrotti e Cesare Scotoni affidano a Cesare la decorazione di alcune loro proprietà, alcune tutt’oggi ancora visibili. Con firma del 1895 si presenta l’affresco realizzato nell’abitazione del Pedrotti, oggi visibile nell’ufficio presidenziale della Casa della SAT, che raffigura un cielo primaverile stagliato dalle figure di due angioletti reggenti nastri rossi e accompagnati da una giovane figura femminile spostata su un lato.

Scenari romantici e naturalistici, rivisitati in chiave moderna secondo lo stile dell’Art Nouveau, decorano gli interni e gli esterni di Villa Gherta a Mesiano di Trento, di proprietà dei fratelli Garbari (ora dell’Università di Trento). Tutt’ora si possono vedere quei lavori sulle facciate dell’edificio e nelle sue sale, frutto di un intenso studio progettuale su bozze, ripreso anche nella mostra.

Nel 1906 acquista un’abitazione a Celva (Trento), vicino al Passo del Cimirlo, che chiama “Romitorio” e trasforma in casa-laboratorio. In questo luogo solitario e immerso nella natura Cesare si ritaglia il suo spazio e si concentra nello studio e nella realizzazione di scene agresti, montane e di vita rurale caratterizzate dal cambiamento stagionale, accuratamente rappresentato. Nello stesso anno partecipa all’Esposizione internazionale di Milano portando La Pastorale, pubblicata tre anni più tardi nella rivista “Vita Trentina”.

Sin dal 1912 fa parte del Circolo Artistico Trentino, fondato da Luigi Bonazza lo stesso anno e di cui è tra i soci fondatori, nonché quello più anziano e il solo a non avere una formazione artistica austro-tedesca. In quello stesso periodo realizza quella che viene considerata la sua ultima opera, La Primavera, esposta alla Mostra Annuale della Permanente di Milano.

Negli anni subito successivi l’approccio all’arte di Cesare verte forzatamente su tematiche cristiane. Tra il 1913 e il 1914 gli viene commissionato il restauro degli interni della chiesa di S. Ermete a Calceranica, in Valsugana; lavoro non concluso, sia per l’incertezza del committente che per lo scoppio della guerra. Con l’inizio della Grande Guerra molti suoi colleghi del Circolo, le cui attività, prevalentemente convivi d’arte, vengono sospese, fuggono nel Regno d’Italia per evitare l’arruolamento forzato. Non sono invece chiare le dinamiche che portano Cesare Covi, con famiglia e conoscenti irredentisti, a militare come pittore di guerra per gli austriaci. Nel 1916 affresca il monumento ai caduti di Trofaiach, vicino a Leoben, in Stiria, la sola delle diverse commissioni di guerra ancora visibile, mentre delle altre, una Pietà per un contadino benestante ed una per i caduti di Sankt Peter-Freienstein, vicino a Trofaiach, voluta dalla baronessa Mayr-Melnhof, restano solamente i disegni preparatori. Nulla invece resta della decorazione della cappella per le vittime dell’esplosione della polveriera di Wöllersdorf, nella Bassa Austria, avvenuta il 18 settembre 1918 e che uccise circa 400 operai, prevalentemente donne.

Al termine del conflitto Cesare Covi ritorna a Trento, trasferendosi in una modesta abitazione in piazza Duomo e conducendo una vita semplice. La guerra l’ha segnato e, in ristrettezza economica e privo di importanti ingaggi, cade in una profonda crisi che lo affligge non solo moralmente, ma anche fisicamente. Malgrado il pessimismo che permea l’ultima fase di vita del pittore, descritto nel 1922 dall’amico e giornalista Wenter Marini come un uomo provato, geloso delle sue opere e allo stesso tempo sfiduciato dal dipingere, continua a far parte del ricostituito Circolo Artistico Trentino, adesso dedicato in particolar modo ai temi architettonici utili per la ricostruzione post-bellica, e, forse grazie all’aiuto dello stesso Marini, gli viene commissionato il restauro della chiesa di San Vigilio in Vallarsa. Quest’ultimo può essere considerato l’unico lavoro di rilievo eseguito negli anni Venti dall’artista e reso con “religiosa austerità”, sebbene l’immagine del santo presenti dei caratteri atipici, quasi specchio di connotati politici piuttosto che del martirio.

Il malumore generale provato da Cesare non lo esclude dalla partecipazione ad importanti esposizioni come la prima Biennale d’Arte della Venezia Tridentina a Bolzano, tra agosto e settembre 1922, dove vince il premio ENIT, o ancora alla Quadriennale Mostra Nazionale di Belle Arti a Torino, nella primavera del 1923, in cui viene notato da un critico d’arte francese che in seguito gli chiede informazioni della sua carriera, poiché vorrebbe presentarlo nella rivista per cui lavora, senza purtroppo ottenere risposta, forse per via della morte di Covi di lì a pochi mesi. L’ultima mostra a cui partecipa è la Tredicesima collettiva del Circolo Artistico Trentino a Ca’ Pesaro a Venezia, tra il 21 aprile e il 30 giugno 1923.

Un mese più tardi, il 31 luglio, muore Cesare Covi. Nelle settimane subito successive sono diversi gli articoli di giornale che parlano del pittore, della sua vita e di come si sentisse angosciato e abbandonato dal mondo che lo circondava, ma in poco tempo tutti se ne dimenticarono.

Cesare è stato un artista apprezzato all’estero, viste le numerose commissioni ricevute in guerra e l’interesse che più in generale suscitava nei critici esteri, mentre a casa, nella sua amata e insostituibile Trento, solo pochi seppero riconoscere il talento. Questa consapevolezza, unita al grande cambiamento sociale che si stava verificando al termine del conflitto mondiale, portarono Covi verso la solitudine, il rigetto della società, l’amarezza e la sfiducia verso un mondo incapace di riconoscere il suo valore. La vita dei più, lo sappiamo bene, è destinata a cadere nell’oblio, essere dimenticata per sempre, anche se si tenta di tutto per venir ricordati, fosse solo dai propri cari. Non è questo però quello che voleva Cesare Covi, un pittore e un uomo che non cercava fama e non pretendeva di esser compreso dai suoi contemporanei; non lo pretendeva, ma lo avrebbe tanto voluto.

FOTO © Immagine di copertina del catalogo della mostra (Trento 1900 : Artisti trentini ai tempi della Belle Époque: Cesare Covi : Trento, Palazzo Trentini : 18 marzo – 16 aprile 2022 / a cura di Alessandra Tiddia e Umberto Anesi. – Rovereto : Grafiche Stile, 2022)

FOTO © Tetti di Trento (1898 – 1913), Cesare Covi. Foto: Veronica Saggiorato.

FOTO © Decorazione del soffitto dell’ufficio presidenziale SAT, Cesare Covi. Foto: Veronica Saggiorato.

FOTO © Mostra “Trento 1900 – Artisti trentini ai tempi della Belle Époque: Cesare Covi”, studi e bozzetti dei dipinti di Villa Gherla, Mesiano di Trento. Foto: Veronica Saggiorato.