Nella rubrica La biblioteca che non ti aspetti. Storia Alpinistica Trentina vi raccontiamo oggetti e pubblicazioni in rapporto ai personaggi che hanno fatto la storia dell’alpinismo trentino.

L’obiettivo è dare valore all’importanza storica della Biblioteca della Montagna – SAT.

Chiodi e spit

In questa prima puntata di vi parleremo di chiodi e spit. È anche grazie alla loro evoluzione tecnologica che l’arrampicata ha raggiunto alti livelli di difficoltà.

I chiodi raccolti da Marino Stenico

Tutti i chiodi conservati alla Biblioteca della Montagna-SAT sono stati raccolti in parete lungo gli anni dall’alpinista Marino Stenico, il quale toglieva quelli storici per metterne di nuovi. Il suo grande lavoro contribuì alla comprensione della storia dell’alpinismo.

Questi chiodi sono strumenti artigianali e, soprattutto i primi, erano sempre molto pesanti, per questo motivo ne venivano piantati pochi.

Oltre che pesanti erano anche molto lunghi, come ci dimostra questo chiodo utilizzato nel 1904 per l’apertura di una nuova via sulla parete ovest del Campanile Basso. 

Questo invece è uno dei primi chiodi che venne utilizzato sulle alpi, precisamente sul versante sud di cima Brenta nel 1882, ed ha una caratteristica forma a T che poi, con l’evoluzione del materiale, è andata a perdersi.

 

L’evoluzione del materiale

L’evoluzione che subisce questo materiale è dettata dall’evoluzione stessa dell’alpinismo: con l’aumento esponenziale delle difficoltà, si sentì sempre più il bisogno di assicurazioni che riuscissero ad adattarsi alla conformazione stessa della parete. 

A seconda della roccia, per esempio dolomia o granito, cambia il tipo di chiodo utilizzato.

Col tempo si arriva poi a realizzare anche chiodi da fessura, concepiti per adattarsi e riempire la fessura man mano che vengono battuti all’interno.

Come si è potuto notare, i primi chiodi erano privi di anello perché la corda veniva fatta passare direttamente attorno al chiodo. Quando vennero inventati i rinvii allora venne aggiunto l’anello, pensato per agganciare il moschettone o legarci attorno il cordino.

Un esempio è questo chiodo che, in particolare, ha un valore molto importante in quanto venne realizzato per il Re del Belgio Alberto I, prodotto dalla Ditta Bugatti di cui rimane testimonianza nell’incisione del logo.

È importante ricordare che questi strumenti sono da intendersi quali protezioni fisse, ovvero non rimovibili, a differenza di dadi, friend e cunei che invece lo sono e per questo vengono chiamate protezioni veloci.

 

I chiodi, l’alpinismo e l’etica

L’uso dei chiodi in alpinismo, come per molti altri aspetti, sfocia anche in una questione etica: l’esempio più famoso è la posizione presa da Paul Preuss. Egli sosteneva fortemente l’idea che i chiodi, e a volte la corda stessa, non si dovessero utilizzare perché bisogna essere in grado con le proprie forze di salire e scendere da una montagna. Preuss era fortemente critico nei confronti delle nuove tecnologie, che riteneva la rovina dell’alpinismo. 

Al contrario di Preuss, ci furono invece periodi in cui vennero utilizzati in grande quantità: l’apice venne raggiunto negli anni Cinquanta con l’arrampicata artificiale, mentre dagli anni successivi si ritornò progressivamente ad un’arrampicata in libera con l’uso dei chiodi in base all’esigenza.

In alcune zone l’etica è talmente forte che i chiodi non sono mai stati visti bene e tutt’oggi non vengono utilizzati. Inoltre, su determinati tipi di roccia il chiodo andrebbe a rovinarla e quindi si usano le protezioni veloci come – ad esempio – sulle torri di arenaria della Valle del fiume Elba (al confine tra Germania e Repubblica Ceca).

 

Nella prossima puntata vi racconteremo lo sviluppo di un altro materiale che ha scritto la storia dell’alpinismo.

Alla prossima!

Innovazione e sicurezza

L’innovazione più importante nella storia di questo materiale è sicuramente l’invenzione dei chiodi a pressione, che vengono piantati a mano oppure con il trapano dal basso o calandosi dall’alto; ciò che li accomuna è che non si possono più rimuovere dalla parete. Soprattutto per quest’ultimo aspetto le discussioni etiche sono sempre molto accese, sia per quanto riguarda l’aspetto ambientale sia alpinistico. Chiodi di questo genere, permettono di spingersi su difficoltà elevate perché garantiscono una maggiore tenuta in caso di volo; quello che cambia quindi è anche l’aspetto psicologico nell’avere maggior fiducia.

In tutto ciò il martello, che da sempre accompagna l’uso dei chiodi, è il materiale che è cambiato di meno; è stata solamente migliorata l’impugnatura ed è più leggero.

 

La Biblioteca che non ti aspetti. Storia Alpinistica Trentina
Testi: Silvia Miori
Fotografie e video: Riccardo Avola
Coordinamento: Riccardo Decarli, Biblioteca della Montagna e Silvia Pezzetti, Ufficio Comunicazione SAT