Storia dei libri di vetta SAT

di Riccardo Decarli

Da tempo immemorabile l’uomo sente l’esigenza di lasciare traccia del proprio passaggio anche in montagna, spesso lo fa con scritte o simboli. La tradizione di erigere un mucchio di sassi – “ometto” – sulla cima, scaturisce proprio da questo desiderio. Gli epigoni pongono un altro sasso sulla pila costruita dal primo e così via, in tal modo il segnale rimane sempre ben visibile e diventa un importante punto di riferimento. Immaginiamo la profonda delusione del malcapitato alpinista che, credendo di aver compiuto una prima ascensione, scorge sulla cima una pila di sassi. 

Ritenendosi il primo salitore del Pelmo, il 19 settembre 1857 John Ball commentò: «No token of a stone-man was seen» («Non fu visto alcun segno di un ometto di pietre», John Ball, “A guide to the Eastern Alps”, new ed., London, 1870, pp. 526). In realtà la sua era probabilmente la quarta salita, preceduto nel 1824 da un cacciatore di camosci di San Vito di Cadore, tale Battista Belli Vecchio; la seconda salita sarebbe avvenuta prima del 1855, per merito di Tommaso de Ghetto “Cortelòn”, originario di Borca di Cadore; poco dopo ecco l’ascensione del cacciatore e guardia boschiva Giovanni Battista Giacin “Sgrinfa”, di Peaio di Cadore. Questi valligiani non avevano eretto “ometti” e tantomeno lasciato biglietti, forse troppo concentrati a seguire una preda. Ball invece diede ampia diffusione alla notizia pubblicandone il resoconto. La differenza tra le salite documentate e le probabili ascensioni che le precedettero sta proprio in questo fatto, l’avvenuta o mancata documentazione. Come si vedrà il “Libro di vetta” assolve anche a questa funzione.

Talvolta accanto all’”ometto” di pietra veniva innalzata una croce e, per finire, ecco comparire una custodia per il “Libro di vetta”. Come accennato quest’evoluzione sancisce in qualche modo anche la trasformazione dell’andar per montagne, dai primi anonimi salitori, fino agli alpinisti. 

In certi casi la posa di “ometti” di pietra raggiunge forme simboliche, se non parossistiche, come nel caso della cima Stoanernen Mandln (1989 m, Monti Sarentini).

Il bel volume curato da Quinto Antonelli si intitola non a caso “Lasciar traccia: scritture del mondo alpino”, una rassegna che spazia dalle scritte e dai disegni dei pastori tracciati con l’ematite sul Cornon (Val di Fiemme), alle incisioni rupestri, ai segni tracciati sulle baite ecc. Naturalmente ciascuna tipologia scaturisce da esigenze e motivazioni diverse. Per quanto ci riguarda, in campo alpinistico, sono principalmente tre i modelli che incontriamo: i “Libri firme degli ospiti dei rifugi”, i “Libri delle nuove vie” (conservati nei rifugi alpini) e i “Libri di vetta”. 

I “Libri firme degli ospiti dei rifugi” derivano dai “Libri degli ospiti degli alberghi”, un genere diffuso anche nelle vallate alpine e che oggi costituisce una preziosa testimonianza del movimento turistico e alpinistico in una fase che precedette la costruzione dei rifugi alpini. Ad esempio fu proprio sul “Libro degli ospiti” dell’Albergo Aquila Nera di Pinzolo che il 21 settembre 1864 Julius Payer lasciò traccia delle sue imprese nel gruppo Adamello-Presanella.

Il “Libro firme dei rifugi” veniva periodicamente vidimato dall’i. r. Capitanato distrettuale e, se era il caso, poteva essere soggetto a interventi di polizia per censurare scritte o simboli. Solitamente l’oggetto incriminato era costituito da rivendicazioni irredentiste.

Nel caso del “Libro del rifugio Tosa” (Biblioteca della montagna-Archivio storico SAT, 1.1.5.3.1.1), venne censurata l’intitolazione della cima alla Regina Margherita.

Il frequentatore del rifugio poteva lasciare anche qualcosa di più della mera firma. Possiamo immaginare la sera, dopo cena, in un momento di riflessione, l’alpinista che traccia alcuni versi di una poesia, un disegno, una frase. Il 12 luglio 1914, un paio di settimane prima della dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia e la conseguente deflagrazione della Prima guerra mondiale, Fortunato Depero salì sul Monte Altissimo di Nago e si fermò al rifugio della SAT. Assieme all’artista erano presenti Giuseppina Amadori – sorella di Rosetta, futura sposa di Fortunato -, Mario Amadori, Angela Anesi e altri. Il giovane Depero era tornato da poco dal primo soggiorno romano, che si rivelò fondamentale poiché gli diede la possibilità di conoscere Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Francesco Cangiullo e Filippo Tommaso Marinetti, ovvero, buona parte del gruppo futurista. Futurismo che era già arrivato fino a Rovereto tra la fine del 1911 e l’inizio del 1912, ma fu solo nell’inverno del ’14 che l’artista di Fondo entrò ufficialmente nel movimento. Inizialmente guardò soprattutto a Boccioni e l’ispirazione si tradusse in un ciclo di schizzi sul dinamismo. Poco dopo però l’incontro con il più anziano Balla portò all’inizio di una nuova fase, che nel 1915 diede origine al manifesto per la “Ricostruzione futurista dell’universo”. Pochi giorni dopo l’escursione al rifugio Altissimo Depero inaugurò a Trento la sua quarta esposizione (terza personale), che però rimase aperta pochi giorni. Gli eventi precipitarono, scoppiò la guerra e Depero disallestì in tutta fretta e rientrò a Rovereto. 

Questa digressione introduce un’importante testimonianza lasciata dall’artista sul rifugio Altissimo, col quale condivideva tra l’altro la data di nascita, il 1892. Sul “Libro degli ospiti”, oltre alla sua firma, Depero tracciò anche un disegno (11 x 6 cm circa) intitolato: “LINEE-FORZE (FUTURISMO)”. Questa piccola opera è significativa nel suo percorso artistico, almeno per due motivi, il primo è la data, vicina alla sua svolta futurista – allo stesso periodo risale una cartolina-collage indicata con il titolo “Dinamismi cromatici” (opera pubblicata in: Maurizio Scudiero, “Depero l’uomo e l’artista”, Rovereto, 2009, pp. 48) -, il secondo è la vicinanza all’opera di Balla, del quale sembra presagire l’opera “Linee forza di paesaggio” del 1918. Oggi il “Libro firme del rifugio Altissimo” è conservato presso la SAT (Biblioteca della montagna-Archivio storico SAT, 1.1.5.4.31.1), assieme a 350 altri esemplari, il più antico risale al 1881 (rifugio Tosa).  

Oltre a questi aspetti artistici, tutt’altro che rari, su questi registri venivano annotate anche le nuove salite o le ascensioni notevoli. Con l’aumento dei frequentatori e lo sviluppo dell’alpinismo si ritenne opportuno scindere questo aspetto e realizzare appositi libri sui quali annotare i dati tecnici delle salite. Ecco così diffondersi, soprattutto con gli anni venti e trenta, i “Libri delle nuove vie”. Si tratta di registri che riguardano la parte tecnica e descrittiva dell’ascensione e ovviamente sono conservati in quei rifugi alpini che hanno nelle vicinanze pareti significative dal punto di vista alpinistico. Poco hanno a che vedere con la scrittura popolare, ma sono invece di estrema importanza per la storia dell’alpinismo, come nel caso del “Libro delle nuove vie” del rifugio Tosa-Pedrotti (Biblioteca della montagna-Archivio storico SAT, 1.1.5.3.1.4), che tra gli altri documenti importanti, conserva la descrizione olografa della via Oggioni-Aiazzi sulla parete est della Brenta Alta (1953). Anche i “Libri delle nuove vie” presenti nei rifugi SAT, una volta riempiti, vanno riconsegnati in sede centrale per essere conservati in archivio e resi fruibili.

La tipologia maggiormente diffusa è quella dei “Libri di vetta”, presenti su gran parte delle cime, pure quelle non particolarmente importanti, ma anche al termine di vie ferrate, sentieri particolari, persino in alcune grotte (in Trentino, nella Grotta Cesare Battisti e nel Bus della spia, rispettivamente sulla Paganella e nei pressi di Sporminore).

L’esigenza o il desiderio di lasciare traccia scritta del proprio passaggio, di rivendicare il raggiungimento di una cima, emerge prepotentemente nel XIX secolo e riguarda soprattutto la borghesia; successivamente, pur trasformandosi, giunge fino ai nostri giorni. L’alpinismo è considerato una palestra, ma anche l’occasione per ottenere consenso, visibilità e possibilità di intrecciare rapporti, anche d’affari. Non per tutti naturalmente fu così e col passare del tempo alcune di queste esigenze andarono ad affievolirsi fino a sparire. Di certo l’ambizione di aver compiuto una prima ascensione o una importante ripetizione, è rimasta centrale e risulta essere la motivazione principale che induce a porre il proprio nome su una vetta. 

Di tutto ciò si può anche sorridere, come fece un grande scrittore, Giuseppe Mazzotti. Egli, in un celebre libro, creò in poche righe una gustosa storiella intitolata: “Il sacrificio del sangue”, vale la pena leggerla integralmente:

«Alcuni anni or sono, una notizia sensazionale, diffusa dal “Gazzettino” di Venezia, destava viva emozione negli ambienti alpinistici. Ancor oggi quella notizia appare tanto straordinaria, da meritare d’esser riprodotta per intero nella sua impressionante laconicità. Eccola: “Riceviamo da Cimagogna: Due giovanotti P.S. del G.U.F. [Gruppo Universitario Fascista] di Cagliari e M.P. del Dopolavoro d’Auronzo e la provetta alpinista signorina A.V. pure di Auronzo, sono riusciti a scalare la famosa Cima Bergagnina, di cui dal 1908 in poi nessuno si era azzardato di tentare la scalata. Giunti sulla cima hanno voluto lasciare un segno del loro passaggio e non avendo a disposizione né una penna stilografica né una matita, si sono fatti dei tagli sulle braccia per poter scrivere i loro nomi col sangue su un pezzo di carta».
(Giuseppe Mazzotti, “La montagna presa in giro”, Milano, 4. ed., 1936, pp. 131-132)

Quando Mazzotti scrisse queste righe non poteva immaginare che anche in questo caso la realtà spesso supera la fantasia o, quantomeno, la eguaglia. Sul “Libro di vetta” del Catinaccio d’Antermoia, alla data 2 agosto 1932, un certo Riccardo Vanzetti lasciò la sua firma accompagnandola con un accorato invito «per favore non rubate le matite!», eh si, perché non avendo trovato di che scrivere l’alpinista usò come inchiostro il suo sangue…

Ma insomma, gli anni trenta sono quelli dell’alpinismo eroico, però questo tributo ematico alla carta pare piuttosto esagerato. Quello di Vanzetti non è un caso unico:

«Lo stretto ballatoio della vetta, appollaiato nell’azzurro: Berto [Umberto Fanton] pervaso da quella sfrenata gaiezza che sconcertava chi l’aveva conosciuto per le vie della città, chiuso e accigliato nel duro volto di granito. Come iscriverci sul libro della cima, senza un mozzicone di matita? Berto, imperturbabile, si taglia al polso con un coccio di vetro, spreme il sangue in un forellino della roccia, e con uno stuzzicadenti scrive i nomi, non senza aggiungere che li ha scritti col sangue».
(Gino Carugati, “Il Campanile Paola e Umberto Fanton”, IN: Rivista mensile Club Alpino Italiano, V. 51, n. 2, 1932, pp. 100-103).

Chiudendo questo breve sipario granguignolesco, si ricorda che l’alpinismo ha anche avuto e ha tutt’ora anche una dimensione goliardica, decisamente più leggera. Appartiene a quest’ultimo genere il biglietto lasciato da Cesare Maestri e Luciano Eccher all’interno del Bus del Toni, una grotta che si apre sulla parete della Roda (Paganella). Nel 1959 i due amici e compagni di cordata stavano effettuando un’ascensione quando incapparono in questa cavità. Entrati, la percorsero per ottanta metri, fino ad un laghetto, dove lasciarono il seguente messaggio: «FIN CHIVE. Maestri-Eccher battezzano questo meandro “Bus del Toni”». Per la curiosità, Toni era il padre del celebre Ragno delle Dolomiti (Andrea Borsato, “Itinerari speleologici: il bus del Toni in Paganella”, IN: Bollettino SAT, A. 47, n. 1, 1984, pp. 16-20).

In un primo momento, restringendo l’ambito geografico al Trentino, per buona parte del XIX secolo, sulle cime non c’erano “Libri di vetta”, così gli alpinisti si limitavano a porre in contenitori – spesso bottiglie di vetro, o bottiglie di spumante usate per il brindisi vittorioso? -, il proprio biglietto (o “viglietto”, come si diceva all’epoca) da visita. Scriveva Julius Payer a proposito della sua seconda salita assoluta della Presanella: 

«Die Oberfläche zeigte sich noch geräumiger als am Adamello, dieselben Schneewechten, aber auch Steinmassen fanden wir. Gleich beim Anlengen erregte ein Steinmann am westlichen Gipfelende meinen Verdacht, eilig hintretend fand ich darin eine unversiegelte wasserflasche, worin zwei Visitenkarten mit den Namen: Mr. Melvill Beachcroft, Mr. J. D. Walker with Freshfield. Thursday, August 25. 1864, und die in Englischer Sprache geschriebene Notiz: “Wir machten die erste Besteigung dieses Berges vom Val vermiglio aus, in 8 Stunden von der letzten Sennhütte mit Inbegriff der Rasten, weil wir in Folge des Eises gezwungen waren, durch 2½ Stunden Stufen zu hauen”. Zu meiner Betrübniss erfuhr ich also, dass die Spitze schon erstiegen war. Ein versiegeltes kleines Fläschschen, meinen und Botteri’s Namen enthaltend, steckte ich in die 4 Fuss hohe Steinfigur».
(Julius Payer, “Die Adamello-Presanella-Alpen nach den Forschungen und Aufnahmen”, Gotha, 1865, pp. 34). 

«La superficie si mostrava ancor più spaziosa che all’Adamello, trovammo le stesse cornici di neve, ma anche masse rocciose. Subito all’arrivo mi insospettì la vista di un ometto di pietra, posto ad ovest della cima, mi avvicinai di corsa e trovai una bottiglia per l’acqua, non chiusa, contenente due biglietti da visita con i nomi: Mr. Melwill Breachroft, Mr. J.D,. Walker with Freshfield. Thursday, August 25.1864 e l’annotazione scritta in inglese: “Abbiamo compiuto la prima ascensione di questa montagna salendo dalla Val Vermiglio, in otto ore dall’ultima malga, comprese le soste, poiché a causa del ghiaccio siamo stati costretti a scavare gradini per due ore e mezza”. Sconsolato appresi così che la cima era già stata salita. Posi nell’ometto di pietra alto quattro piedi una piccola bottiglia sigillata contenete il mio nome e quello di Botteri». 

Infatti pochi giorni prima: 

«[…] and in a few moments were treading down the virgin snows at which we had so long and wistfully looked up […]. The ascent from the hut had taken us eight hours, a long time for a mountain of only 11,688 feet […]. We spent an hour of pleasant idleness, only broken by the duty of building a cairn in wich to ensconce a gigantic water-bottle charged with our cards».
(Douglas W. Freshfield, “Italian Alps: sketches in the mountain of Ticino, Lombardy, the Trentino, and Venetia”, London, 1875, pp. 201-203).

«[…] Pochi minuti dopo stavamo calpestando le nevi vergini alle quali per tanto tempo avevamo ansiosamente guardato […]. La salita dalla capanna era durata otto ore; molte per una cima di soli 11.688 piedi […]. Trascorremmo un’ora di ozio, solo interrotto dal dovere di innalzare un ometto nel quale riporre una gigantesca bottiglia con i nostri biglietti».

Questi messaggi racchiusi in bottiglie suscitano un paragone, suggestivo ancorché fantasioso, con i disperati messaggi dei naufraghi. Laddove si spera in un salvataggio, qui si auspica nel riconoscimento dell’impresa alpinistica, in sostanza nel “salvataggio” della memoria e nell’iscrizione al grande catalogo dei “conquistatori” di cime.

In Trentino fu con la fondazione della SAT (2 settembre 1872), che si cominciarono a organizzare in modo sistematico le infrastrutture alpine, sentieri e rifugi soprattutto. Parallelamente si prese a porre attenzione anche alla documentazione e fu subito chiaro come i “Libri di vetta” costituissero un tassello fondamentale in questo ambito.

Così Francesco Negri raccontava di una salita sulla Regina delle Dolomiti, compiuta nel 1874: 

«Poco al di sotto della cima verso sud-ovest sporge dalle nevi il brullo cocuzzolo di una roccia che scende a picco sulla valle Ambretta. Quivi ci fermammo a riposare all’asciutto. Una bottiglia difesa da pochi sassi conteneva i nomi degli alpinisti che avevano visitato la Marmolata prima di noi; a questi nomi aggiungemmo i nostri, e li riponemmo nella bottiglia».
(“Un’ascensione alla Marmolata 12 agosto 1874, relazione del professore Vigilio Inama compilata sugli appunti dell’ingegnere Francesco de Negri”, IN: Annuario SAT, A. 2, 1875, pp. 48-64). 

Il curatore del testo ritenne opportuno chiosare:

«Le nostre guide ci consigliarono di proporre al club [la SAT] di far fare apposite cassette da aprirsi e chiudersi con chiave, da porre in sulla cima de’ monti in luogo delle solite bottiglie, le quali offrono l’inconveniente di rompersi facilmente, e di contenere troppo pochi biglietti. Le guide patentate del Club avrebbero in consegna la chiave delle cassette».

Pochi anni dopo i “Libri di vetta” cominciarono ad essere diffusi sulle principali cime, tanto che oggi nell’ampia collezione (oltre 700 esemplari) custodita presso la Biblioteca della Montagna-Archivio storico-SAT, il più antico libretto risale al 1878; era collocato sulla Pala di San Martino.

Allargando lo sguardo si possono trovare alcuni esemplari ancora più vecchi, uno dei primi di cui si abbia notizia risale al 1857 ed era collocato sull’Aneto, vetta pirenaica di 3404 m, sulla quale, dal 1842, era collocata una bottiglia con i biglietti dei primi salitori. Risale al 1869 quello sulla Zugspitze, al 1873 sul Mount Hood (Oregon, USA), al 1877 sul Vignemale (Pirenei), al 1888 sul Biberkopf (Allgäuer Alpen) ecc. Di altri, più antichi, a partire dal 1835 (Monte Perdido, Pirenei), si ha solo notizia.

Tornando a noi, dalla fine del XIX secolo la SAT decise di normalizzare questa tipologia di documenti, facendoli realizzare nella classica dimensione 15,5×11 cm (talvolta subì delle piccole variazioni), con legatura rigida, in grado di sopportare sbalzi termici e umidità.

I contenitori, solitamente in metallo, fin dall’inizio venivano collocati presso “ometti” di pietra o croci di vetta. Alla fine degli anni quaranta il socio Luca Sartorelli donò alla SAT 24 astucci di zinco da collocare sulle cime per la conservazione dei “Libri di vetta” (“SAT rivista mensile”, A. 16, n. 24, 16 giu. 1948, pp. 558).

Inevitabilmente con il trascorrere del tempo, alcune cime hanno perso o visto ridimensionare l’importanza a causa della progressione delle difficoltà o della maggiore facilità d’accesso. Di conseguenza i “Libri di vetta” di alcune elevazioni hanno smarrito il loro interesse storico e alpinistico, trasformandosi in testimonianza di costume. Interessante comunque notare come, a differenza dei maggiormente controllati “Libri degli ospiti dei rifugi” che, come accennato, venivano controllati dall’autorità statale, i “Libri di vetta” hanno sempre goduto maggiore libertà ed è per questo che non è raro trovare traccia di contestazioni e critiche di stampo politico, sociale e altro. Ancora oggi il visitatore del rifugio, costretto anche dalla brutta tipologia dei moderni registri, ingabbiati in rigidi campi, quasi fossero registri di protocollo, si limita a scrivere data, nome e cognome, provenienza, destinazione e club di appartenenza. I “Libri di vetta” rimangono invece uno spazio libero, dove esprimersi senza restrizioni, consapevoli che gli unici lettori apparterranno alla stessa grande “tribù”, quella degli amanti della montagna.

Libertà però che non dovrebbe tradursi in anarchia e approssimazione, purtroppo questo è quel che invece talvolta accade. Anziché porre nuovi “Libri di vetta” nel bel formato tradizionale, spesso si ricorre a poco ortodossi supporti, tipo agende o quaderni, che tra l’atro offrono minori garanzie di durata nel tempo, oltreché essere, spesso, decisamente poco attraenti.

Da lungo tempo La SAT mette a disposizione i libretti nuovi a chi ne consegna uno completato. Se pensiamo quante ne ha passate (tempeste, gelo e quant’altro) il libretto che giunge al fine in biblioteca si può ben dire, senza timore di apparire retorici, che è un “documento eroico”. Questa staffetta ha permesso di realizzare una importante collezione, quarta al mondo per quantità e considerata nell’unico studio specifico ed esaustivo fin qui compiuto a livello globale, quale:

«Colección extraordinaria ya sea por importancia histórica, gran extensión temporal o notable calidad artistica» (Òscar Masó Garcia, “Libros de cima: una historia de pasión y conquista”, Madrid, 2018, pp. 336). Oggi questo patrimonio storico, alpinistico e, per certi aspetti sentimentale, può essere consultato liberamente negli orari di apertura della biblioteca e ha attirato l’attenzione di prestigiose firme dei quotidiani “La repubblica”, “Il messaggero”, “Montagne 360°”, “Vèrtex” e altri.


Bibliografia (in ordine cronologico)

Il libro delle vette / testi e disegni dell’avv. Carlo Sarteschi. – IN: Rivista del CAI, 1938, p. 326-329

Il libro di vetta / [Mario Agostini]. – IN: SAT-CAI 1872-1952 : pubblicazione commemorativa edita dalla Società Alpinisti Tridentini del Club Alpino Italiano nel suo LXXX anniversario… / a cura di Ezio Mosna. – Trento : Società degli Alpinisti Tridentini, 1952. – P. 53

Centro documentazione libri di rifugio albergo e vetta / [Museo nazionale della montagna Duca degli Abruzzi CAI-Torino]. – Torino : Museo nazionale della montagna Duca degli Abruzzi ; Torino : Club alpino italiano. Sezione di Torino, 1998. – 36 p. ; 21 cm. – (Guide museomontagna ; 7)

La montagna custode di memorie : i libri di vetta e i libri di rifugio : per un’analisi dal punto di vista storico-sociologico e di tecnica del restauro / relatore: Lorenzo Pontalti ; correlatori: Quinto Antonelli, Andrea Giorgi ; laureanda: Claudia Filippi. – 87 c. : ill. ; 30 cm

Tesi di laurea – Università degli studi di Trento, Facoltà di lettere e filosofia, Corso di laurea in scienze dei beni culturali, a. acc. 2007-08

I libri di vetta : una scrittura ad alta quota / relatore: Anna Iuso ; correlatore: Alberto Sobrero, Quinto Antonelli ; laureanda: Beatrice Campesi. – 87 c. : ill. ; 30 cm

Tesi di laurea – Sapienza Università di Roma, Facoltà di lettere e filosofia, a. acc. 2007-08

Quando salire era un’impresa sotto cui mettere la firma : negli archivi della Sat, Società degli alpinisti tridentini, settecento quaderni di vetta testimoniano gli arrivi degli scalatori, dal 1878… / Stefano Aurighi. – IN: Il venerdì di Repubblica. – N. 1064 (8 ago 2008), p. 120-[122]

Cristo pensante : emozioni dal libro di vetta : immagini e pensieri lungo il trekking nelle Dolomiti, patrimonio dell’umanità / Pino Dellasega. – Trento : Artimedia Valentina Trentini, 2011. – 1 v. : ill. ; 15 cm

Quando arrivare in vetta era un’impresa su cui mettere la firma / di Stefano Aurighi. – IN: Montagne 360° la rivista del Club Alpino Italiano. Milano. N. 6 (2012), p. 46-53

Firme in cielo : viaggio tra i libri di vetta / Astrid Mazzola ; fotografie di Ruggero Arena ; con un saggio di Claudio Ambrosi. – Trento : Il margine, 2013. – 229, [4] c. di tav. : ill. ; 20 cm. – (I larici)

Lasciar traccia : scritture del mondo alpino / a cura di Quinto Antonelli e Anna Iuso. – Trento : Fondazione Museo Storico del Trentino, 2015. – 470 p. : ill. ; 21 cm

Piulades d’altura : els libre de registre dels cims de les muntanyes / Albert i Òscar Masó Garcia. – IN: Vèrtex. Barcelona. N. 260 (maig-juny 2015), p. 50-58

Libros de cima: una historia de pasión y conquista / Òscar Masó Garcia ; con la colaboración de Albert Masó Garcia. – Madrid : Desnivel, 2018. – 350 p. : ill. ; 23 cm

In cima al monte ci metto la firma / Stefano Ardito, IN: Il messaggero. – 22 gennaio 2019, p. 19