Si è svolto nel pomeriggio di martedì 30 novembre 2021 l’ultimo incontro, dal titolo

“La montagna addomesticata. Per una storia culturale delle vie attrezzate e ferrate”, del ciclo di webinar “Professione Montagne”, organizzato dalla Trentino School of Management (TSM), a cui ha partecipato, come ospite, il bibliotecario della Biblioteca della Montagna-SAT Riccardo Decarli. 

Come ha spiegato Gianni Canale, presidente Collegio delle Guide Alpine-Maestri di Alpinismo della Provincia di Trento, le prime vie ferrate sono state utilizzate per facilitare la salita verso le montagne. Solo successivamente, dopo le guerre, hanno assunto lo scopo turistico che noi tutti oggi conosciamo.

Essendo delle vere e proprie infrastrutture  queste vie devono essere mantenute sempre sicure attraverso interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, ed è necessario imparare ad affrontarle in sicurezza, non sottovalutando i pericoli che possono presentarsi. 

Luca Gibello, presidente Cantieri d’Alta Quota, all’interno del suo intervento denominato “Sempre più in alto? Tra baluardi e linee verticali: appunti storici su l’infrastrutturazione delle montagne” è intervenuto con un breve excursus sulla storia delle vie ferrate dal Rinascimento -un’ epoca in cui la necessità era quella di spostarsi, più che quella di raggiungere una vetta- al periodo bellico, che ha segnato un’epoca di innovazioni nel campo delle vie di comunicazioni.

Riccardo Decarli,  nel suo intervento “Dalla simulazione dell’arrampicata al parco avventura. Fenomenologia di vie ferrate e sentieri attrezzati in Trentino” ha quindi spiegato come sia necessario distinguere le vie ferrate dai sentieri attrezzati.  

Le prime infatti sono itinerari con attrezzature artificiali, senza le quali sarebbe necessario arrampicare su roccia, e prendono origine dall’ambient alpinistico dove, a partire dall’Ottocento, sono stati introdotti mezzi artificiali per “addomesticare” alcuni passaggi.

I secondi sono degli itinerari attrezzati con funi metalliche che facilitano la progressione in orizzontale e, per quanto possibile, in sicurezza.

Il primo esempio di ferrate in Trentino risale al 1890, quando alla Guida Alpina Michele Bettega fu incaricato dalla SAT “di porre delle punte di ferro nei punti più difficili del Cimon della Pala, parimenti, di praticare delle staffe, e di collocare una corda di rame nel punto più pericoloso”.

Nel primo dopoguerra, l’escursionismo iniziò ad essere sempre meno un’attività d’élite e si diffuse sempre di più nei diversi strati sociali. Fu anche il periodo del famoso “sesto grado”, con l’apertura di numerose e note vie di arrampicata, come quelle aperte sulle Dolomiti di Brenta da Bruno Detassis, Ettore Castiglioni, Giorgio Graffer e altri. Questo diede la possibilità agli escursionisti di avvicinarsi agli itinerari meno conosciuti e così nacque la famosa “Via delle Bocchette”. Si attrezzarono anche, come nel caso della “Alta via Bepi Zac”, itinerari lungo i percorsi della Grande Guerra, dando la possibilità di avvicinarsi a luoghi storici in prima persona.

L’evoluzione successiva – come dice Decarliva nel senso dell’addomesticazione delle pareti, o comunque dei tratti verticali. Vennero così realizzate delle vere e proprie scalate attrezzate, spesso in zona prealpina”, nei pressi dei paesi. Un chiaro esempio di ciò è la “Via ferrata Rino Pisetta” sulla parete sud-est del Daìn Picol (o Monte Garzolét), sopra l’abitato di Sarche, e classificata al massimo nella scala di difficoltà. Queste ferrate in alcuni casi vengono “realizzate da comunità locali, spesso in zona prealpina, e  con il trascorrere del tempo diventano polo d’attrazione turistica e al contempo si trasformano in elemento identitario.”Per questa categoria possiamo prendere come esempio la “Via ferrata Rio Secco”, in località Cadino, o la “Via ferrata di Montalbano” a Mori.

Tutto questo ha tracciato un’evoluzione del gusto e della percezione della montagna che ha portato a maggiori possibilità di intervento da parte dell’uomo. Interventi tra i quali figurano anche gli impianti di risalita, che hanno la necessità di lavorare anche durante l’estate, e per i quali son state realizzate vie ferrate ad hoc, come la “Via ferrata delle Aquile” sulla Roda della Paganella che come ha sottolineato Decarlisono realizzazioni recenti, con caratteristiche simili tra loro (…) per scopi meno nobili di quanto ci si possa attendere, (…) purtroppo però poco o nulla compatibili con il delicato equilibrio alpino e che non tengono conto degli auspici dell’associazionismo alpinistico a cui si è fatto cenno all’inizio.”