Sui sentieri dei 150 anni

Sentiero 7 – Il Rifugio Lancia alle porte del Pasubio

Il primo ski sui campi di battaglia

L’itinerario segue il principale accesso al Rifugio Alpe Pozza “Vincenzo Lancia” partendo dall’abitato di Giazzèra. Quest’ultimo dista una decina di chilometri da Rovereto e si raggiunge per la strada della Vallarsa fino al bivio per Trambileno, quindi passando per Moschèri e Pozza di Trambileno.

Gruppo Montuoso: Pasubio – Colsanto

Comuni: Trambileno

Difficoltà Generale: E

Sentieri SAT: E101, E102, E102A

Itinerario: Salita da Giazzèra al Rifugio Alpe Pozza “Vincenzo Lancia” e rientro a Giazzèra

Dislivello salita / discesa: ↑724 m / ↓724 m

Nome Località N. segnavia Quota (m.s.l.m.) Distanza (metri) Andata (hh:mm) Ritorno (hh:mm) Diff.
Giazzèra 1092 00:15
Ull [101] 1247 770 00:25 00:05 T
Quota 1263 [101] 1263 110 00:05 00:35 T
Pian del Chèserle [101] 1372 2070 00:45 00:10 T
Pr. Malga Chèserle – calchera [101] 1406 540 00:10 00:35 T
Pozza Rionda [101] 1659 1920 00:50 00:20 E
Rifugio “Vincenzo Lancia” [101] 1800 1060 00:25 00:05 E
Alpe Pozze [102] 1816 320 00:05 00:25 E
Pozza Rionda [102A] 1659 940 00:20 00:50 E
Pr. Malga Chèserle – calchera [101] 1406 1920 00:35 00:10 E
Pian del Chèserle [101] 1372 540 00:10 00:45 T
Quota 1263 [101] 1263 2070 00:35 00:05 T
Ull [101] 1247 110 00:05 00:25 T
Giazzèra [101] 1092 770 00:15 T
Totali 13140 04:45 04:45

Dal paesino di Giazzèra, seguendo le indicazioni del sentiero, ci si alza tagliando i primi tornanti della strada che passa a mezzacosta sul fianco occidentale del Monte Pazul. Lasciato sulla sinistra il bivio del sentiero 132 diretto all’Alpe Alba e al Monte Pazul, si continua a seguire la strada che nella faggeta percorre lungamente in quota il versante del monte. Si oltrepassa il Cimitero Militare austroungarico, mirabilmente curato, e si attraversano i pascoli di Malga Chèserle fino ad un ampio parcheggio dove si trova il divieto di transito. Superati i bivi dei sentieri 132B, 119 e 122, si lascia sulla sinistra il “Sass scritt” (o “Sassóm”, sul quale è inciso l’antico saluto ai visitatori: Che tu sia il benvenuto nel regno della Pozza) e si prosegue con il sentiero 101 risalendo la strada tagliandone i tornanti. Più avanti si oltrepassa il bivio che porta alla tipica conca con le sette vasche scavate nella roccia, denominate “Sette Albi”, che rimangono appartate sulla sinistra della strada (quota 1570). Si continua sulla carrareccia fino a raggiungere il lariceto della Pozza Rionda, dove si incrocia il sentiero 102A, che verso destra è diretto al Monte Testo. Si prosegue per la strada sterrata che si inerpica con maggiore pendenza fino a sbucare al margine dei pascoli dell’Alpe Pozza dove si trova l’omonimo rifugio dedicato a “Vincenzo Lancia”. Dal rifugio si procede in direzione Sud sul sentiero 102 per poche centinaia di metri fino al primo bivio con palo e tabelle. Qui si imbocca una traccia in direzione Sud-Ovest (tabella Monte Testo / Bocchetta dei Foxi) per pochi metri, fino a raggiungere l’incrocio con il sentiero 102A, indicato con palo e tabelle, da dove si prosegue in direzione di Pozza Rionda. Si procede quindi in direzione Ovest all’interno del bosco lungo il sentiero 102A, fino a raggiungere il bivio con il sentiero 101, da dove si svolterà a sinistra per tornare verso Giazzèra, seguendo il tracciato percorso all’andata.

Tra le prime testimonianze di escursione e descrizione nella zona del Pasubio sono certamente notevoli quelle del farmacista, botanico ed accademico Piero Cristofori (Trento 1766-1848). Gli scritti si riferiscono ad escursioni compiute tra 1817 e 1823 e descrivono l’ambiente e peculiarità naturalistiche, oltre a qualche nota di colore sugli usi delle popolazioni attorno a Pasubio e Colsanto: «Gli alpigiani di Vallarsa sono i meno rozzi di tutti gli alpigiani del nostro Distretto: evvi solo da rimproverare ad essi le fatiche, che addossano alle lor donne, attaccandole alle volte sole, alle volte appaiate ad un bue, all’aratro, e sulle montagne al biroccio, usanza barbara, che però vidi usata ancor peggio in altri luoghi. Nell’agosto si può godere sui Zocchi il gradito spettacolo di vedere un gran numero di questi alpigiani occupati a falciare il fieno, a disseccarlo e raccoglierlo; portandone un lenzuolo sul capo essi con tutta indifferenza traversano l’anzi detto pericolosissimo sentiero delle Corde. Del fieno, e talvolta anche sovr’esso di persone vengono caricate le slitte, che rette da uno che vi sta dinanzi si veggono discendere verso i paesi dei Foxi e Valmorbia per via rapidissima, e con tale velocità di sembrare precipitare. Essi vanno però sicurissimi né mai sentii accadessero disgrazie… le viti in Terragnolo sono tenute più basse, che in Vallarsa ed il formentone e la scandella vi sono più frequenti, del resto le derrate sono eguali, e la principale come in Vallarsa è il bosco. Osservai però, che quei valligiani sono più rozzi degli abitanti di Vallarsa, e poco industriosi: trascurano le api; non abbruciano gli alberi d’alto fusto sulle alture dalle quali è difficile trasportarli, e dalle cui ceneri potrebbero estrarre la potassa: il seme del faggio potrebbe dar loro dell’olio, che risparmierebbe quello d’ulivo o di noce. Se anche taluno li avverte di ciò, essi non v’abbadano, non dandosi per intesi, fosser pur saggi, dei consigli di chi cerca far loro del bene. Come se fossero bestie attaccano le donne all’aratro, e se hanno la moglie, od una figlia ammalata non si prendono in generale gran cura di loro, quando all’incontro se hanno inferma una bestia, non abbadano ad alcuna spesa, che il veterinario ordinasse loro: le donne insomma incapaci al lavoro si guardano come un peso, e le bestie come un capo di necessità che costa denari» (“Alcune giornate passate sulle montagne di Rovereto a sinistra dell’Adige dal Leno sino a Mattarello da Pietro Cristofori negli anni 1817-1823”, IN: Annuario SAT, A. 6, 1879-80, pp. 298-369).

Durante la Prima guerra mondiale questo territorio fu teatro di aspri combattimenti. Sul Monte Corno, nel luglio 1916, vennero catturati Cesare Battisti e Fabio Filzi, poi condannati a morte nel Castello del Buonconsiglio a Trento. Passata la bufera, cominciarono i pellegrinaggi ai luoghi di battaglia.

La montagna cominciò ad essere frequentata anche d’inverno grazie alla diffusione dello sci. Sul “Sassom” alcuni soci della SAT incisero una frase indirizzata a questi primi, intrepidi, sciatori: «Che tu sia il benvenuto nel regno della Pozza». Gli sci, originariamente chiamati ski, vantano una millenaria tradizione in Scandinavia, ma furono introdotti in Italia dall’ingegnere svizzero Adolfo Kind (1848-1907) solo nel 1896; sulle colline torinesi si poté assistere così ai primi ruzzoloni. Nella nostra regione, invece, l’alpinista e fotografo viennese di origini morave Emil Terschak (1858-1915) portò i primi sci in Val Gardena già nel 1893. Una prima diffusione dello sci avvenne durante la Grande guerra e poi negli anni Venti e Trenta, anche grazie all’impulso dato dalla SAT, che organizzò competizioni e mise a disposizione di soci e guide alpine l’attrezzatura.

Tra gli amici che frequentavano questi campi di neve c’era anche Amedeo Costa (1905-1989), roveretano, imprenditore e mecenate, dirigente del Club Alpino Italiano; grazie a lui nacque nel 1952 il Trento Film Festival. Costa era genero dell’industriale Vincenzo Lancia (Fobello, Valsesia 1881 – Torino 1937) e, poco dopo la scomparsa del celebre costruttore di automobili, propose alla SAT di Rovereto di ricordarne la figura erigendo un rifugio. Il progetto venne affidato all’architetto Giovanni Tiella e nel giro di un anno, il 28 ottobre 1939, anniversario della Marcia su Roma, la nuova struttura poté essere inaugurata; dal 1947 al 1953 una seggiovia collegava la zona con Pozzacchio.

Il Pasubio è spesso ricordato per gli eventi della prima guerra mondiale, di cui tutt’oggi si possono vedere ancora i resti sotto forma di strade, mulattiere, ruderi, fortificazioni e gallerie. Pochi, però, sanno che queste montagne, oltre che essere importanti per la storia, sono ricche anche da un punto di vista floristico e faunistico. Ad esempio, in queste zone sono presenti due sottospecie di salamandra alpina endemiche, ovvero presenti esclusivamente in questi luoghi in tutto il mondo. La salamandra alpina (Salamandra atra) è un anfibio molto simile per costituzione alla salamandra pezzata giallo-nera, anche se di dimensioni minori, e con colorazione completamente nera, ed è diffuso su tutto l’arco alpino in praterie alpine, pascoli rocciosi, brughiere e boschi (conifere, latifoglie e misti) fra i 900 ed i 2.500 metri di quota.  A causa del tipo di riproduzione vivipara non vive in presenza di fonti di acqua anche se, per evitare la disidratazione, esce allo scoperto solo in giornate piovose o nebbiose. Le sottospecie della salamandra alpina presenti su queste montagne sono la salamandra di Aurora (Salamandra atra aurorae), descritta per la prima volta nel 1982 da un erpetologo vicentino, Pierluigi Trevisan, che le ha dato il nome della moglie, e la salamandra del Pasubio (Salamandra atra pasubiensis), scoperta nel 2005. Entrambe queste due sottospecie hanno caratteristiche comportamentali e di habitat molto simili tra loro e comuni a quelle della salamandra alpina da cui però si distinguono nettamente per la colorazione; se quest’ultima infatti risulta essere tutta nera, la salamandra di Aurora presenta grandi macchie gialle sul dorso mentre la salamandra del Pasubio presenta si macchie dorsali sempre di colore giallo ma di piccole dimensioni e che non occupano mai più della metà del dorso. Queste due sottospecie sono, come si diceva in precedenza, endemiche della zona e localizzate esclusivamente in una ristretta area, per lo più in Veneto e solo in parte in Trentino, in particolare sul massiccio del Pasubio e nei suoi pressi. Entrambe queste salamandre sono minacciate di estinzione sia per la loro limitata distribuzione e numerosità della popolazione, sia per l’incremento di interventi umani nel bosco a seguito della tempesta Vaia del 2018. Mentre la salamandra di Aurora è protetta a livello europeo, purtroppo la salamandra del Pasubio, vista anche la recente scoperta, non è ancora considerata tale ma si auspica un suo prossimo inserimento nelle liste degli animali da proteggere almeno a livello nazionale. Fortunatamente, però, tutto l’areale di distribuzione di questa seconda sottospecie risulta essere all’interno di territorio protetto. Grazie alla protezione diretta o indiretta del territorio si spera che la permanenza di questi animali in questi luoghi possa durare ancora per molto tempo contribuendo a rendere il Pasubio sempre più unico.

Dal punto di vista morfologico e strutturale le Prealpi Trentine Orientali sono abbastanza uniformi e, almeno nella zona, sono rappresentate soprattutto da formazioni carbonatiche ben stratificate quali i Calcari grigi e le dolomie. Il loro ambiente di formazione è rappresentato da un mare basso, tropicale, con spiagge sabbiose che sprofondavano lentamente formando veri e propri bracci di mare (dai 200 ai 160 milioni di anni fa circa, nel Giurassico). Circa 60 milioni di anni fa il movimento si inverte e si assiste al lento sollevamento dall’acqua, fino a formare, circa 5 milioni di anni fa, le montagne che noi conosciamo. Alcuni anni fa, in un tunnel scavato dai soldati austro-ungarici sul Monte Buso nel corso della Grande Guerra, a poca distanza dal rifugio Lancia, è stata fatta una notevole ed inaspettata scoperta scientifica: orme di dinosauro. Nel Giurassico inferiore la zona era contraddistinta da piane fangose, spesso sommerse e separate da aree marine di varia profondità. In quel periodo la placca europea si stava separando da quella africana, generando un complesso sistema di bracci marini. A testimonianza del fatto che, tuttavia, le diverse zone continentali, da sud a nord, potevano rimanere in contatto grazie ad una sorta di lunghissima striscia di terreno emersa o paludosa, sovviene proprio la scoperta del Monte Buso: dinosauri carnivori tra 300 e 400 kg di peso e lunghezza fino a 7 metri si aggiravano sulle piane dove oggi sorge il Rifugio Lancia, probabilmente al seguito delle mandrie di grandi erbivori. Giunti al rifugio non dimentichiamoci di controllare sul muro, a sinistra della porta d’ingresso: è appeso un pannello con le fotografie e la descrizione della scoperta.

Rifugio Alpe Pozza “Vincenzo Lancia”   [SAT]

località quota comune recapiti posti letto locale invernale
Alpe Pozza 1802 m Trambileno

0464 868068

info@rifugiolancia.it

www.rifugiolancia.it

64 Sì, 4 posti

Apertura: 1 giugno – 30 settembre, 26 dicembre – 6 gennaio, nei fine settimana previo accordo

Si trova sulla soglia dell’Alpe Pozza lo splendido alpeggio nell’alta Valle del Chèserle, “scoperto” negli Anni Venti da alcuni giovani soci della SAT di Rovereto. Il fascino di quell’ambiente e dei suoi enormi spazi, esaltati soprattutto con la neve, indussero quei pionieri a riunirsi nel Gruppo Sciatori malga Pozza; in quegli anni si partiva a piedi da Rovereto o poco più su e, con gli sci in spalla, si raggiungeva Giazzèra ed infine la malga. L’idea di costruire un rifugio all’Alpe Pozza fu lanciata da Amedeo Costa nel 1931 e già allora intendeva intitolarlo a Vincenzo Lancia, industriale torinese pioniere dell’automobilismo, fondatore dell’omonima casa automobilistica. Nel 1937 la scomparsa di Vincenzo Lancia diede ulteriore forza all’idea di Amedeo Costa. Il progetto del rifugio fu elaborato dall’arch. Giovanni Tiella e nel contempo si mise mano alla strada di malga Pozza per agevolare il trasporto dei materiali. Il Rifugio Lancia fu inaugurato il 28 ottobre 1939. Nel dopoguerra sull’Alpe Pozza entrò in funzione la prima seggiovia del Trentino meridionale; fu ancora Amedeo Costa a promuovere l’iniziativa. La seggiovia collegava Pozzacchio con il rifugio ed entrò in funzione nel 1947; dopo alcune stagioni, però, nel 1953 l’impianto fu smantellato per le difficoltà a mantenere aperta la strada in inverno. Nel 1968 venne inaugurata la chiesetta realizzata dal Corpo forestale dello Stato nei pressi del rifugio. Negli anni successivi il Rifugio Lancia è stato continuamente migliorato nei servizi e nella struttura.